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lo ha annunciato il ministro elio vito

Acqua privatizzata, dl blindato in Aula

Scatta la mobilitazione ambientalista

Posta la fiducia alla Camera sul decreto salva-infrazioni. L'opposizione insorge: "Parlamento umiliato"

2009-10-18

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Dalessandro Giacomo

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L'ARGOMENTO DI OGGI

 

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REPUBBLICA

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http://www.repubblica.it/

2009-11-19

http://www.cittadinolex.kataweb.it/article_view.jsp?idArt=88969&idCat=81

La riforma dell'acqua su cui è stata votata la fiducia

(Ddl Senato) clicca sopra per leggere:

È inserita in un decreto dedicato a varie misure per evitare le infrazioni comunitarie

Sondaggio de il SOLE 24 ORE

http://www.ilsole24ore.com

2009-11-18 h 10,20

Decreto Ronchi: la liberalizzazione delle società dell'acqua

Siete d'accordo o no sulla possibilità di privatizzare le società che gestiscono l'acqua? - Sì 10%

No 90%

il SOLE 24 ORE

http://www.ilsole24ore.com

2009-11-18 h 10,20

 

CORRIERE della SERA

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http://www.corriere.it

2009-11-19

302 voti a favore e 263 contrari

Bagarre alla Camera: passa

il decreto per privatizzare l'acqua

Manifestini con il disegno di un'Italia "disidratata". Di Pietro annuncia referendum abrogativo

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Acqua, il Governo incassa la fiducia

Bossi frena la rivolta leghista sull'acqua"Non si può morire per una legge"

Business da 5 miliardi Ma la rete perde un litro su tre

Protesta dell'Idv in aula (Ansa)

Protesta dell'Idv in aula (Ansa)

ROMA - Il decreto "salva-infrazioni comunitarie", con le contrastate norme sulla privatizzazione dell'acqua, è legge. La Camera ha approvato la conversione con 302 voti a favore e 263 contrari. Il via libera al provvedimento ha scatenato una bagarre in aula.

CONTESTAZIONI E BAGARRE IN AULA - I 25 deputati dell'Italia dei valori hanno iniziato a sventolare manifestini con il disegno di un'Italia "disidratata" e la scritta: "Giù le mani dall'Acqua". Il presidente Gianfranco Fini ha subito invitato i parlamentari a "mettere via i manifestini". Dal settore della maggioranza si sono poi levate grida, "Scemi, scemi", dirette ai banchi dell'Idv. Per tutta risposta qualcuno ha urlato: "Baciamo le mani don Silvio".

DI PIETRO ANNUNCIA UN REFERENDUM - Rilevando che questo decreto "piace solo al presidente del Consiglio e ai suoi amici", Di Pietro ha annuncia contro di esso un referendum abrogativo; e, parlando della possibilità di riduzione dei tempi dei processi, rileva: "Vorrei un presidente del Consiglio che non commetta reati, non un premier che non si fa processare". Per questo rilancia la manifestazione del 5 dicembre, che va anche "contro la deriva delle privatizzazioni".

 

19 novembre 2009

 

 

 

 

Il dl Ronchi

Acqua, il Governo incassa la fiducia

Montecitorio ha approvato con 320 sì e 270 no la fiducia. Le misure salienti del provvedimento

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Privatizzazione acqua, sì dalla Lega. Bossi: "Non si muore per una legge"

Il tabellone con il voto finale (Eidon)

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ROMA - Il governo Berlusconi incassa la fiducia sul decreto Ronchi che contiene, tra l'altro, norme sulla "privatizzazione" dell'acqua. Montecitorio ha approvato con 320 sì e 270 no la fiducia. Il voto finale è fissato per giovedì. Il sì al decreto ha alimentato ancor di più le polemiche intorno alla liberalizzazione dell'acqua. Secondo le associazioni dei consumatori la misura peserà sulle tasche dei cittadini con aumenti che saranno a due cifre, compresi tra il 30% e il 40%. "Si profila una vera e propria stangata", dice il Codacons, "se consideriamo in 3 anni il tempo necessario perché il nuovo sistema vada a regime, alla fine di questo processo il rischio concreto è quello di un aumento medio del 30% delle tariffe dell'acqua". Così, aggiunge, "se nel 2009 una famiglia media italiana spenderà 268 euro, considerando un consumo medio annuo di 200 metri cubi d'acqua, tra 3 anni quella stessa famiglia spenderà in media 348 euro all'anno, con un incremento di 80 euro, pari al +30%". Dura la reazione della Cgil: "Privatizzare acqua e ciclo dei rifiuti è un favore alla criminalità organizzata": lo afferma il segretario generale Fp-Cgil, Carlo Podda.

LE ALTRE MISURE - A parte la "privatizzazione" dell'acqua, sono variegate le norme contenute nel decreto "omnibus" a firma del ministro Andrea Ronchi e che serve a sanare una serie di infrazioni contestate dall'Ue al nostro Paese. Ecco in pillole alcune delle misure salienti del provvedimento.

RIFORMA SERVIZI PUBBLICI LOCALI - Arriva la liberalizzazione dei servizi pubblici locali. Le gare ad evidenza pubblica diventano la regola per l'affidamento dei servizi (ad eccezione della distribuzione dell'energia elettrica, del trasporto ferroviario regionale e delle farmacie comunali e compresa l'acqua che, però, rimane bene pubblico) da parte delle amministrazioni. Le gestioni frutto di un affidamento in house cessano alla data del 31 dicembre 2010. Le società partecipate possono mantenere contratti stipulati senza gara formale fino alla scadenza nel caso in cui le amministrazioni cedano loro almeno il 40% del capitale. Diverso il discorso per quanto riguarda le società quotate che hanno tre anni in più per adeguarsi a patto che abbiano almeno il 40% di quota di partecipazione pubblica al 30 giugno 2013, quota che scende al 30% al 2015.

SLITTA PRIMO DL FEDERALISMO FISCALE - Slitta al 30 giugno 2010 la data entro la quale il governo deve varare il primo decreto attuativo del federalismo fiscale. Sempre in tema di federalismo fiscale viene stabilito che entro 30 giorni dall'entrata in vigore di questo provvedimento, gli enti trasmettano alla commissione paritetica per l'attuazione del federalismo i dati sul patto di stabilità.

NORME ANTI-MAFIA PER EXPO 2015 - Il prefetto di Milano gestirà il coordinamento e l'unità di indirizzo di tutte le attività di prevenzione delle infiltrazioni della criminalità organizzata nell'affidamento degli appalti per la realizzazione delle opere per l'Expo 2015.

FONDI PER INFRASTRUTTURE GUARDIA FINANZA - Serviranno per programmi pluriennali di ammodernamento infrastrutturale.

SOCIETÀ MISTE PER AUTOSTRADE LOCALI - Le società miste Anas-Regione create per la realizzazione di autostrade dovranno limitarsi a infrastrutture di solo interesse regionale e interamente ricadenti nel territorio della regione.

REGISTRO PER RIFIUTARE SPOT TELEFONICI - Viene prorogata di sei mesi la legge che consente agli operatori telefonici di usare per fini promozionali banche dati costituite sulla base degli elenchi telefonici. Arriva, d'altra parte, un elenco gestito dal garante della privacy al quale ci si potrà iscrivere per non ricevere più gli spot telefonici esercitando il proprio "diritto di opposizione".

SANATORIA FARMACIE - Viene "sanato" il cumulo di attività di distribuzione all'ingrosso di medicinali e gestione di farmacie comunali in capo a società che, appunto, distribuiscono medicinali all'ingrosso.

SÌ A LAMPADINE ED ELETTRODOMESTICI "VERDI" - A decorrere rispettivamente dal primo gennaio 2010 e dal primo gennaio 2011 elettrodomestici e lampadine potranno essere messi in commercio solo se rispettano i requisiti minimi di eco-compatibilità previsti dall'Ue.

TIRRENIA - In attesa completamento processo privatizzazione le attuali società del gruppo saranno operative fino al settembre 2010.

RECUPERO FONDI DA IMPRESE PARTECIPATE SERVIZI PUBBLICI - Entro quindici giorni dalla notifica da parte dell'Agenzia delle entrate, le aziende di servizi a prevalente capitale pubblico che hanno usufruito dell'esenzione dall'imposta sul reddito e che, in base alle nuove direttive europee non possono più usufruire di queste agevolazioni, dovranno pagare le somme dovute. Tra queste società figurano alcune società di servizi, tra cui la A2A.

MADE IN ITALY - Le etichette potranno avere l'indicazione "100% Italia" o "tutto italiano" o simili per indicare prodotti non solo creati ma anche assemblati nel nostro Paese. Per l'uso indebito di questo tipo di indicazioni o di segni o figure "ingannevoli" su questo è prevista una sanzione penale.

 

18 novembre 2009

 

 

 

 

il carroccio voterà la fiducia chiesta dal governo

Bossi frena la rivolta leghista sull'acqua

"Non si può morire per una legge"

Il ministro per le Riforme: "Modifiche al decreto Ronchi? Vedremo. Ma non possiamo far saltare il governo"

Umberto Bossi (Eidon)

Umberto Bossi (Eidon)

ROMA - "Non si può far saltare il governo. Non si muore per una legge, si muore se salta il governo". Così il ministro e leader della Lega, Umberto Bossi, ha risposto ai giornalisti che gli chiedevano un commento sulla contrarietà del Carroccio alla norma che liberalizza i servizi pubblici locali inserita nel decreto Ronchi. I giornalisti hanno chiesto informazioni a Bossi sull'ordine del giorno preannunciato dai deputati della Lega e riguardante l'acqua. Alla domanda se il Carroccio chiederà una modifica del decreto Ronchi già in finanziaria, Bossi ha risposto: "vedremo...". In ogni caso la Lega voterà la fiducia pur avendo espresso riserve. E a proposito delle tensioni nella maggioranza, il Senatùr non ha dubbi: "Berlusconi e Fini si siederanno uno di fronte all'altro e troveranno le soluzioni. Il governo non rischia e noi non rischiamo".

IL PD - Alla Lega sono però indirizzate le critiche del Pd. "È indecente il doppio gioco della Lega sull'acqua: con Calderoli firma il decreto che obbliga alla privatizzazione dei servizi idrici - dice il senatore Roberto Della Seta - e in Parlamento però fa finta di non essere d'accordo, con l'aggravante della fiducia sul decreto". "Etica pubblica - prosegue - vuol dire anche non prendere in giro i cittadini. E oggi i cittadini devono sapere che la Lega è uno dei principali artefici di una norma che consegnerà il business dell'acqua a quattro o cinque multinazionali, impedendo ogni efficace controllo pubblico sui criteri d'uso, sul prezzo, sulla tutela di un bene comune come le risorse idriche".

 

18 novembre 2009

 

 

 

 

Bassi prezzi e qualità

Business da 5 miliardi

Ma la rete perde un litro su tre

La battaglia sull'acqua e la privatizzazione

MILANO — Più di 5 miliardi l’anno. Questo il business che alimenta il settore dell’acqua in Italia. Un mondo tutto particolare, che coinvolge 252 imprese il cui giro d’affari supera i 2 miliardi e mezzo e con 25 milioni di famiglie servite.

Scarsi investimenti e poca efficienza della rete sono le principali accuse che vengono mosse nei confronti di questo sistema, finito nell’occhio del ciclone del dibattito politico.

Un sistema che se per quanto riguarda i costi vede oggi l’Italia con le tariffe tra le più basse del mondo, pone però il nostro Paese in posizioni assai meno edificanti in termini di qualità dei servizi offerti.

Le reti, per esempio. Secondo una denuncia di Cittadinanzattiva, continuano a versare in uno stato di usura tale da provocare la perdita media del 34% dell’acqua immessa nelle tubature (con il poco invidiabile record detenuto dall’Acquedotto pugliese, la struttura idrica più grande d’Europa, le cui perdite sono pari al 50,3%). Tanto che il 30% della popolazione italiana deve subire un approvvigionamento "discontinuo e insufficiente". In pratica oltre un terzo dell’acqua che circola negli acquedotti italiani si perde a causa delle condizioni di usura e del cattivo "stato di salute" della rete e solo il 70% arriva all’utente finale.

Ma la carenza più pesante non riguarda tanto la rete idrica, quanto quella fognaria e di depurazione, punta l’indice FederUtility. E la fotografia, in tutta la sua drammaticità, arriva dai dati contenuti nel "Blue Book 2009" (rapporto elaborato dall’istituto di ricerca Utilitatis): se il servizio di acquedotto rifornisce il 95,9% della popolazione italiana, con una rete totale di 337.452 chilometri, il servizio di fognatura copre l’84,7% (con una rete totale di 164.473 chilometri) e quello di depurazione arriva solo al 70,4%. In altri termini: al 15% dei cittadini mancano le fognature e a quasi il 30% i depuratori.

Ma quanto spendono per l’acqua le famiglie italiane? Secondo FederUtility, attualmente la tariffa media è pari a 1,29 euro al metro cubo. Questo significa che una famiglia di tre componenti, residente a Roma, paga una bolletta complessiva di 177 euro per un consumo medio annuo di 200 metri cubi (200 mila litri) di acqua. Per lo stesso quantitativo a Tokyo si paga l’equivalente di circa 280 euro, a San Francisco poco più di 400; 430 euro a Helsinki, 560 a Bruxelles, 740 euro a Parigi, 800 a Zurigo e poco meno di 970 euro a Berlino. La capitale tedesca è in cima alla classifica per costi: qui per il solo servizio di acquedotto vengono addebitati 428 euro l’anno per famiglia, contro i 63 euro pagati a Roma. Invece, per la quota fissa e per fognatura e depurazione, a Berlino si pagano 510 euro l’anno, contro i 98 di Roma.

Nella classifica delle principali città mondiali prese in considerazione dal "Blue Book", solo a Buenos Aires (37 euro l’anno), Hong Kong (102) e Miami (169) hanno tariffe più basse di Roma.

Gabriele Dossena

18 novembre 2009

 

 

 

 

 

lo ha annunciato il ministro elio vito

Acqua privatizzata, dl blindato in Aula

Scatta la mobilitazione ambientalista

Posta la fiducia alla Camera sul decreto salva-infrazioni. L'opposizione insorge: "Parlamento umiliato"

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Le Regioni nel risiko della privatizzazione. Il caso Puglia

(Ansa)

(Ansa)

MILANO - L'Italia dei Valori prepara la sua battaglia e il WWF parla di "legge pasticcio da stralciare". Intanto il governo ha deciso: alla Camera porrà la questione di fiducia sul decreto Ronchi, il cosiddetto dl "salva infrazioni" per l'attuazione di obblighi comunitari, già approvato dal Senato, che contiene anche la contestata norma sulla riforma dei servizi pubblici compresa la liberalizzazione dell'acqua. Il decreto deve essere convertito in legge entro il 24 novembre, pena la decadenza.

LA NORMA CONTESTATA - Con l'articolo 15 del decreto arriva la liberalizzazione dei servizi pubblici locali. Le gare ad evidenza pubblica diventano la regola per l'affidamento dei servizi (ad eccezione della distribuzione dell'energia elettrica, del trasporto ferroviario regionale e delle farmacie comunali e compresa l'acqua che, però, rimane bene pubblico) da parte delle amministrazioni. Le gestioni frutto di un affidamento "in house" cessano alla data del 31 dicembre 2010. Le società partecipate possono mantenere contratti stipulati senza gara formale fino alla scadenza nel caso in cui le amministrazioni cedano loro almeno il 40% del capitale. Diverso il discorso per quanto riguarda le società quotate che hanno tre anni in più per adeguarsi a patto che abbiano almeno il 40% di quota di partecipazione pubblica al 30 giugno 2013, quota che scende al 30% al 2015. L'opposizione insorge contro la decisione del governo di porre la fiducia (che sarà votatat mercoledì pomeriggio), temendo che l'affidamento ai privati del servizio idrico (pur mantenendo pubblica la proprietà della rete), possa portare ad un incremento delle tariffe.

"FIDUCIA INUTILE" - Le opposizioni parlano di "Parlamentano umiliato". "Si sarebbe arrivati subito ad un voto unanime su questo provvedimento se il governo avesse stralciato dal decreto l'articolo sui servizi pubblici locali che non ha il coraggio di discutere né di spiegare alla gente" ha detto a Montecitorio Marina Sereni del Pd. "Questa fiducia - ha aggiunto - non è certo motivata dall'ostruzionismo dell'opposizione ma dalla mancanza di fiducia del governo rispetto ai propri deputati". Durissimo anche il dipietrista Massimo Donadi: "Siete una maggioranza appecoronata felice di non lavorare per un giorno". E Michele Vietti dell'Udc ha ribadito che l'aspetto "tempo", denunciato dal ministro Vito come alla base della fiducia a Montecitorio sul decreto, è causato dal fatto che il testo sia stato per troppo all'esame del Senato. "Di fronte agli attacchi contro l'ambiente e contro il patrimonio di tutti è necessaria una forte mobilitazione popolare - ha dichiarato il Presidente nazionale dei Verdi Angelo Bonelli -. Come Verdi inizieremo una raccolta di firme per i referendum per dire NO all'acqua privata e Sì a quella come bene comune e per dire No al nucleare e Sì al solare".

LEGA INSODDISFATTA - "Le polemiche sulle risorse idriche non ne scalfiscono la sostanza. Tra l'altro si tratta di polemiche su una privatizzazione che non esiste" tuona Così Raffaele Fitto, ministro per gli Affari regionali. Ma anche la Lega, come l'opposizione, non nasconde la sua insoddisfazione per le norme sull'acqua previste dal decreto Ronchi. Secondo il vicecapogruppo del Carroccio alla Camera, Marco Reguzzoni, "la fiducia impedisce di migliorare ulteriormente il testo. Presenteremo dunque - ha annunciato il leghista - un ordine del giorno e lavoreremo con il governo per renderlo più aderente alle aspettative degli amministratori locali del Nord". "Il testo che è arrivato dal Senato è migliorativo rispetto a quello originario, però la Lega sull'articolo 15 (quello sui servizi pubblici locali, ndr.) avrebbe voluto migliorarlo per farlo corrispondere con la sua posizione storica a favore dell'acqua pubblica" ha aggiunto Reguzzoni.

I DATI DI FEDERUTILITY - Secondo i dai dati forniti da Federutility e contenuti nel Blue Book 2009, sintesi della situazione dei servizi idrici nel Paese, l'Italia ha le tariffe dell'acqua tra le più basse del mondo. Il nodo di un possibile rialzo delle tariffe è fra le questioni sollevate da quanti si dichiarano contrari alle norme sulla privatizzazione dell'acqua contenute nel dl Ronchi, sui cui è stata posta la fiducia. Quest'anno la tariffa media - fa sapere Federutility, che riunisce 550 aziende italiane dell'acqua ed elettricità - è risultata pari a 1,29 euro al metro cubo. Una famiglia di tre componenti, residente a Roma, paga un importo complessivo di 177 euro per un consumo medio annuo di 200 mc di acqua. A Tokyo per la stessa quantità si paga il corrispettivo di circa 280 euro, a San Francisco poco più di 400; 430 euro a Helsinki, 560 a Bruxelles, 740 euro a Parigi, 800 a Zurigo e poco meno di 970 euro a Berlino.

17 novembre 2009(ultima modifica: 18 novembre 2009)

 

 

 

2009-11-18

 

La puglia si muove contro il provvedimento

Le Regioni nel risiko della privatizzazione

Gli enti locali e la norma sull'acqua contenuta nel decreto Ronchi

ROMA - Il decreto Ronchi che contiene tra le altre cose la norma sulla liberalizzazione dell'acqua, e sul quale il governo ha posto la questione di fiducia alla Camera, chiama in causa anche regioni ed enti locali, per il ruolo che svolgono nella gestione dei servizi idrici. L'articolo 15 del decreto Ronchi, ormai alle battute finali alla Camera, cambia le regole del gioco per le società che operano nel settore, prevedendo tra le altre cose che la quota di capitale in mano pubblica scenda sotto il 30%, lasciando spazio ai privati. Una novità che da una parte fa gola a molte utility, interessate ad allargare il proprio business nel settore del cosiddetto oro blu, dall'altra pone interrogativi agli enti pubblici che detengono quote nelle società.

IL CASO PUGLIA - Le reazioni politiche non sono mancate. Ma la situazione appare tutt'altro che uniforme. Chi nelle ultime settimane si è fatto portavoce di una battaglia contro la legge è stato Nichi Vendola. Il governatore della Puglia, infatti, ha già annunciato che ricorrerà alla Corte Costituzionale impugnando il provvedimento. Nel contempo i tecnici regionali appronteranno un testo che punta a trasformare la società Acquedotto pugliese da Spa a società di diritto pubblico. "La Puglia - fa notare però Renato Drusiani, direttore dell'area idrico-ambientale di Federutility, l'organizzazione che riunisce le 550 aziende che operano nell'acqua e nell'elettricità - è un caso a sè, in Italia e in Europa". Se in altre realtà regionali, infatti, operano più soggetti e sono diffuse società miste, le quote di Acp sono pressoché al 100% di proprietà della Regione Puglia (un 5% fa capo alla Basilicata). L'applicazione della nuova legge in arrivo, quindi, sconvolgerebbe l'assetto societario. Quanto alla lettura delle ricadute, dipende da che parte le si guarda. Vendola, lo ha detto chiaramente, teme un freno agli investimenti e un aumento delle tariffe.

LE ALTRE REGIONI - Situazioni simili a quella pugliese, ma solo in parte, in Calabria e Sicilia, dove è una società regionale a gestire l'acqua. Ma la quota in mano pubblica è molto più bassa e i privati hanno già una compartecipazione. Siciliacque è al 25% delle Regione, al 75% di soci industriali. Sorical, al 53% della Regione e al 47% del colosso francese Veolia. Sulla carta, quindi, l'interesse a osteggiare la legge non c'è. Questo non vuol dire che in molti territori la nuova legge non abbia provocato reazioni politiche a livello locale. Tre giorni fa duemila persone hanno partecipato a Menfi, in provincia di Agrigento, al consiglio comunale "aperto" contro la privatizzazione della gestione idrica. E in Sicilia circa 90 comuni stanno facendo fronte comune contro la legge. In Molise dal Pd e da Molise Acque, azienda speciale della Regione, arrivano appelli ad impugnare il provvedimento di fronte alla Consulta. Il Pd è agguerrito anche in Friuli Venezia Giulia così come i Verdi in Toscana. E pochi giorni fa la giunta comunale di Bolzano ha approvato un documento contro la privatizzazione dell'acqua. In Abruzzo Rifondazione Comunista definisce il nuovo decreto una legge truffa e ha annunciato che presenterà una propria proposta di legge.

(Ansa)

17 novembre 2009

REPUBBLICA

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http://www.repubblica.it/

2009-11-19

Il decreto Ronchi prevede liberalizzazioni nel settore dei servizi pubblici. Tra le più importanti quella dell'erogazione idrica

Privatizzazione dell'acqua

Il governo ottiene la fiducia

Cittadinanzattiva punta al referendum. Le Associazioni dei consumatori: aumenti del 30-40%. Errani: valuteremo la costituzionalità

ROMA - Con 320 voti a favore il governo ha ottenuto la fiducia alla Camera sul decreto legge Ronchi che prevede una serie di liberalizzazioni nel settore dei servizi pubblici, tra cui l'erogazione dell'acqua. Contro il governo hanno votato 270 deputati.

La mossa del governo ha suscitato la reazione immediata di Cittadinanzattiva, che ha promesso l'inizio di una raccolta firme per chiedere un referendum. "Il governo si è bevuto la fiducia dei cittadini", ha dichiarato Teresa Petrangolini, segretario generale di Cittadinanzattiva. "Blindando l'acqua nel decreto Ronchi, l'esecutivo ha dimostrato di essere più preoccupato di assecondare gli interessi dei gruppi industriali privati che di regolamentare un settore vitale per la società con la costituzione di una Autorità", ha proseguito.

Secondo le associazioni dei consumatori, la liberalizzazione dell'acqua prevista dal decreto peserà sulle tasche degli italiani con aumenti a due cifre, compresi tra il 30 e il 40 per cento.

Per il Codacons, ad esempio, "si profila una vera e propria stangata". "Se consideriamo in 3 anni il tempo necessario perchè il nuovo sistema vada a regime, alla fine di questo processo il rischio concreto è quello di un aumento medio del 30 per cento delle tariffe dell'acqua".

Ancora più drastico il parere del responsabile dei servizi a rete del Movimento Difesa del Cittadino (Mdc), secondo il quale "gli aumenti in bolletta supereranno il 40 per cento", visto che "si aggiungerà la necessità dei profitto delle Spa con inevitabili conseguenze sulle tariffe".

Parole di amarezza arrivano anche dal presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani. "Ancora una volta, viene meno la collaborazione e il rispetto delle competenze regionali", ha detto Errani a proposito del dl Ronchi, aggiungendo: "Appena il decreto verrà approvato, la Regione Emilia Romagna valuterà tutti i profili costituzionali per decidere quale iniziativa assumere". Secondo il governatore dell'Emilia Romagna, infatti, "siamo di fronte a una forzatura che non convince nel metodo. La prossima settimana assumeremo una posizione nell'ambito della Conferenza delle Regioni".

(18 novembre 2009

 

 

 

 

 

 

La battaglia dell'acqua

di PAOLO RUMIZ

Dunque oggi alla Camera si va alla fiducia sull'acqua. Che bisogno aveva il governo di questo mezzo estremo per trasformare in legge un decreto, avendo i numeri di una larga maggioranza? Che fretta c'è su un tema di simile portata? È abbastanza intuibile. Se si affronta un iter normale, le cose vanno per le lunghe visto che il Pd è intenzionato a dar battaglia con l'Italia dei valori.

Entrambi i partiti hanno annunciato un fuoco di sbarramento a suon di emendamenti. Ma se accade, la storia comincia a far rumore; e se fa rumore c'è il rischio che gli italiani mangino la foglia. Cadrebbe la cortina di silenzio che negli ultimi anni ha avvolto il business legato alla distribuzione del più universale e strategico dei beni nazionali.

Il nodo è semplice. Lo Stato è in bolletta, da vent'anni non investe più come si deve sulla rete e oggi meno che mai ha soldi per un'azione di ammodernamento che costerebbe come otto ponti sullo stretto di Messina. Meglio dunque lasciare la patata calda ai privati, che con meno remore politiche potrebbero scaricare sulle tariffe il costo di un'operazione indilazionabile, e che per la mano pubblica è una delle ultime ghiotte occasioni di far cassa. Da qui un decreto che, caso unico in Europa, obbliga a mettere in gara tutti i servizi legati all'acqua e accelerarne la trasformazione in Spa, dimenticando che, quasi ovunque le grandi società sono entrate nel gioco, le tariffe sono aumentate in assenza di investimenti sulla rete.

Ovvio che meno se ne parla, meglio è. Se in Parlamento scatta la bagarre, c'è il rischio che i Comuni virtuosi (inclusi quelli con i colori della maggioranza), che hanno tenuto duro nel non cedere i loro servizi alle società di Milano, Genova, Bologna e Roma, creino un'alleanza per proteggere "l'acqua del sindaco", cioè il loro ultimo territorio di autogoverno e autonomia dopo la perdita dell'Ici.

Se se ne parla, può succedere che gli utenti apprendano che, laddove le grandi società sono entrate in campo, le perdite della rete sono rimaste le stesse, i controlli di qualità sono spesso diminuiti e magari le tariffe sono aumentate . Magari si capisce che vi sono servizi che non possono essere privatizzati oltre un certo limite, perché allora l'acqua passa al mercato finanziario, diventa quotazione in borsa, e il cittadino non ha più un sindaco con cui protestare dei disservizi, ma solo un sordo "call center" piazzato magari a Sydney, Pechino o New York. No, non si deve sapere che siamo di fronte a un passaggio epocale, di quelli che cambiano tutto, come la recinzione dei pascoli liberi nell'Inghilterra del Settecento.

Non è un caso che si sia tentato di buttare una riforma simile nel pentolone di un decreto omnibus riguardante tutti i pubblici servizi, e non è un caso che - durante la discussione - si sia scorporato dal decreto medesimo il discorso il gas, i trasporti e il nodo delle farmacie. Gas, trasporti e farmacie erano la foglia di fico. Se oggi nel decreto su cui si pone la fiducia rimane solo l'acqua con i rifiuti, significa che l'acqua e i rifiuti sono il grande affare indilazionabile, l'accoppiata perfetta su cui si reggono i profitti delle multi-utility, e parallelamente le ingordigie della criminalità organizzata. Non è un caso che si parli tanto di "oro blu".

La storia dell'umanità lo dice chiaro. Chi governa l'acqua, comanda. Le prime forme di compartecipazione democratica dal basso sono nate in Italia attorno all'uso delle sorgenti, quando i paesi e le frazioni hanno pensato ad affrancarsi grazie all'acqua. Lo scontro non è tra pubblico e privato, ma tra controllo delle risorse dal basso e delega totale dei servizi, con conseguente, lucroso monopolio di alcuni. Oggi potremmo dover rinunciare a un pezzo della nostra sovranità.

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Il governo blinda il decreto Ronchi. Ronchi: "Vogliamo velocizzare"

Stabilita la liberalizzazione dei servizi pubblici locali, il pubblico sotto il 30%

Acqua privatizzata, via alla fiducia

L'opposizione: "Saliranno i prezzi"

La Lega in difficoltà: "Votiamo ma non ci piace"

Acqua privatizzata, via alla fiducia L'opposizione: "Saliranno i prezzi"

ROMA - Via libera alla privatizzazione dell'acqua. Il governo, per la 28esima volta, pone la fiducia sul decreto salva-infrazioni che contiene anche la riforma dei servizi pubblici locali, compresa l'acqua. E scatena l'ennesima bagarre con l'opposizione. A cui le motivazioni del ministro per i rapporti con il Parlamento Elio Vito ("scelta per velocizzare i tempi") non bastano. Anche perché di tempo per l'esame della Camera ce n'era: il decreto, che l'esecutivo considera blindato, scade fra una settimana.

Tema del contendere è il cosidetto 'decreto Ronchi' che stabilisce la liberalizzazione dei servizi pubblici locali, prevedendo tra le altre cose che la quota di capitale in mano pubblica scenda sotto il 30%, lasciando spazio ai privati. Il provvedimento rende di fatto obbligatorie le gare per l'affidamento dei servizi da parte degli enti locali e vieta, quindi, salvo per casi eccezionali, l'assegnazione diretta a società prevalentemente pubbliche e controllate in maniera stringente dall'ente locale affidatario. A partire dal 31 dicembre 2010 quindi, le concessioni frutto di una assegnazione diretta cessano.

La liberalizzazione, inoltre, riguarda tutti i servizi pubblici locali, escluso il gas, il trasporto ferroviario regionale e la gestione delle farmacie comunali. Prevedendo tempi 'piu' dilatati per quanto riguarda i rifiuti.

Durissima la reazione dell'opposizione. Angelo Bonelli dei Verdi lancia l'idea di un "referendum" per dire no all'acqua in mano ai privati. "Pochi grandi gruppi faranno affari d'oro a discapito dei cittadini che subiranno l'aumento delle tariffe dell'acqua" spiega Marina Sereni del Pd. Per Massimo Donadi dell'Idv quella attuale è una maggioranza "appecoronata felice di non lavorare per un giorno". Mentre Michele Vietti (Udc) ricorda come il testo sia stato per troppo all'esame del Senato. Una circostanza condivisa anche da Simone Baldelli del Pdl, secondo cui "servono regole certe sui tempi certi per l'esame dei provvedimenti". Ma anche la lega non nasconde le perplessità. "Voteremo la fiducia - dice il vicepresidente dei

deputati del Carroccio, Marco Reguzzoni - ma avremmo voluto migliorare il testo per farlo corrispondere con la sua posizione storica a favore dell'acqua pubblica". Ora il Carroccio preannuncia la presentazione di un ordine del giorno al decreto, e non esclude la presentazione di modifiche già in finanziaria.

Il voto di fiducia ci sarà domani alle ore 15, mentre quello finale è previsto per le ore 13 di giovedì, dopo le dichiarazioni di voto in diretta tv.

(17 novembre 2009)

 

 

 

 

Compromesso al Senato: gestione privata, proprietà pubblica

La rete idrica è allo sfascio, e ora si rischia di penalizzare i comuni virtuosi

Guerra dell'acqua in Parlamento

"Deve restare un bene comune"

di PAOLO RUMIZ

Guerra dell'acqua in Parlamento "Deve restare un bene comune"

CON le reti idriche allo sfascio, l'Italia accelera la privatizzazione dell'acqua. Il Parlamento sta discutendo la legge che obbliga a mettere in gara i servizi e ridurre a quote minoritarie la mano pubblica nella gestione, ma nessuno sa dove trovare le risorse per ricuperare questo pazzesco "gap" infrastrutturale.

I lavori necessari ammontano a 62 miliardi di euro: una cifra enorme, come dieci ponti sullo Stretto. Questo mentre 8 milioni di cittadini non hanno accesso all'acqua potabile, 18 milioni bevono acqua non depurata e le perdite del sistema sono salite al 37%, con punte apocalittiche al Sud. Sono più di vent'anni che si investe al lumicino, non si costruiscono acquedotti e la manutenzione di quelli esistenti è quasi scomparsa dai bilanci. Un quadro da Terzo Mondo. Il rischio è di lasciare in eredità ai nostri figli un patrimonio di acqua inquinata da industrie, residui fognari, chimica, arsenico o metalli pesanti.

Di fronte a questo allarme concreto sembra sollevarsi nient'altro che il solito polverone. Uno scontro di "teologie": con una maggioranza che crede nell'efficacia salvifica della gara d'appalto e della quotazione in Borsa, e una minoranza che invoca il principio assoluto dell'acqua "bene comune". In mezzo a tutto questo, schiacciata fra le scorrerie dei partiti e gli appetiti finanziari dei privati, una miriade di Comuni virtuosi che finora hanno gestito i servizi a basso costo e in modo eccellente, e non intendono alienare "l'acqua del sindaco", intesa come ultima trincea del governo pubblico del territorio.

Nell'agosto 2007 Tremonti aveva già sparato un decreto per la privatizzazione, ma si era rivelato cos carente che non era stato possibile emanare i regolamenti. Oggi si tenta il bis, con una spinta in più verso i privati. Stavolta è d'accordo anche la Lega: la quota della mano pubblica dovrà scendere al 30%. Insomma, che i Comuni in bolletta vendano tutto quello che possono. Facciano cassa, subito. E non fa niente se qualcuno grida al furto e il Contratto mondiale per l'acqua - ultima trincea del pubblico servizio - minaccia fuoco e fiamme.

"In nessun'altra parte d'Europa - attacca il presidente Emilio Molinari - si vieta alla mano pubblica di conservare la maggioranza azionaria. Il rischio è che tutto finisca in mano delle grandi Spa e alle multinazionali. E se il servizio non funziona, invece che al tuo sindaco dovrai rivolgerti a un call center".

Contro il provvedimento s'è scatenata una guerra di resistenza. In Puglia il presidente della regione Niki Vendola s'è messo in collisione con gli alleati del Pd, ed ha non ha solo annunciato di voler far ricorso contro la privatizzazione, ma ha deciso di ripubblicizzare l'acquedotto pugliese, il più grande e malfamato d'Europa (si dice che abbia dato più da... mangiare che da bere ai pugliesi). Al grido di "l'acqua è una cosa pubblica" ora si tenta la storica marcia indietro, anche se non si ha la più pallida idea di chi (la Regione?) pagherà i debiti del carrozzone.

Intanto si moltiplicano le assemblee: Verona, Bari, Udine, Savona, Potenza, Rieti. Da Milano arrivano segnali di preoccupazione, a difesa di un'azienda comunale totalmente pubblica che finora ha mantenuto tariffe tra le più basse d'Italia. Il malumore cresce nei Comuni di montagna. In Carnia anche quelli della Lega sono ai ferri corti con la giunta regionale di centrodestra. Già hanno dovuto affidare i loro servizi a una Spa-carrozzone che fa acqua da tutte le parti e alza le tariffe senza fare investimenti; ora non vogliono che questo preluda al passaggio a un'azienda con sede a Milano, Roma o magari all'estero.

A Mezzana Montaldo (Biella) dove si gestiscono la loro rete in modo ineccepibile da oltre un secolo, non ci pensano nemmeno a mollare l'acqua ad altri. "La fine del federalismo e dei valori del territorio persino nelle regioni a statuto speciale" osserva Marco Job del C. m. a di Udine. "Facevamo tutto da soli - ghigna il carnico Franceschino Barazzutti - dalle mie parti il sindaco guidava il trattore, e se necessario aggiustava lui stesso la conduttura tra il paese e la sorgente. Oggi devi chiamare i tecnici a Udine, con tempi maggiori e costi più alti. E se devi segnalare un disservizio, devi andare a Tolmezzo o Udine, mentre prima era tutto sotto casa. E' tutto chiaro: hanno fatto una Spa pubblica solo per poi passare la mano ai privati".

Privatizzare è l'ultima speranza di adeguarci all'Europa, puntualizza il governo. Ma qui viene il bello. proprio l'enormità dei costi di questo adeguamento a falsare la gara. "Senza certezza sul futuro del servizio e con simili costi fissi nessuna banca al mondo finanzierà le piccole imprese, e cos finiranno per vincere le grandi aziende quotate, capaci di autofinanziarsi e di imporsi semplicemente con la forza del nome", spiega Antonio Massarutto dell'università di Udine. Altra cosa che pu falsare i giochi è la mancanza di garanzie sul rispetto delle regole. "Siamo in Italia" brontola Roberto Passino, presidente del Coviri, Comitato vigilanza risorse idriche: "Prima si lamentavano perché non funzionavamo, e ora che abbiamo rimesso le cose a posto, tutti si lamentano perché funzioniamo". Un problema di comportamento, insomma. Di cultura e responsabilità.

Pubblico o privato? "Non importa che i gatti siano bianchi o neri - scherza Passino citando Marx - l'importante è che mangino i topi". Quello che conta è il controllo. In Inghilterra l'azienda pubblica è stata privatizzata al cento per cento, ma la Spa che ha vinto la gara ora ha sul collo il fiato di un'authority ventiquattrore su ventiquattro. Le modifiche del contratto sono impossibili. Ogni cinque anni le tariffe vanno discusse daccapo. Massarutto: "L'anomalia italiana è che ci si illude che la gara basti a lavare più bianco. Non è vero niente. Serve uno strumento di controllo e garanzia che impedisca furbate o fughe speculative". Figurarsi se poi l'azienda firma un contratto che include non solo la gestione, ma anche gli investimenti immensi che il settore richiede.

Altra anomalia: abbiamo le tariffe più basse d'Europa. Questo perché - a differenza di Francia o Germania - finora nessuno ha osato scaricare sulle tariffe il costo di questo immenso arretrato di lavori. Viviamo in uno strano Paese, dove si protesta per le bollette dell'acqua, ma non si osa dir nulla su quelle del gas e dell'elettricità, che invece sono - udite - le più alte del Continente. Dire che gli acquedotti si debbano pagare con le tasse è quantomeno spericolato, osserva Giuseppe Altamore autore di grandi libri sulla questione idrica in Italia: "Non vedo cosa ci sia di giusto nel fatto che io debba pagare il servizio idrico anche per gli evasori fiscali". Nell'incertezza sul futuro, il ritardo aumenta, e sulle nostre spalle cresce la previsione di una batosta stimata per ora sui 115 euro pro-capite l'anno.

© Riproduzione riservata (5 novembre 2009)

 

 

 

 

Oggi si celebra la Giornata mondiale istituita dall'Onu nel 1992

Al Forum di Istanbul contrasti sulla dichiarazione finale

L'acqua un diritto? Non c'è accordo

E' solo "un bisogno fondamentale"

E' il compromesso raggiunto dopo una settimana di discussione

Secondo le Nazioni Unite, più di un miliardo di persone soffrono la sete

L'acqua un diritto? Non c'è accordo E' solo "un bisogno fondamentale"

ROMA - Secondo l'ultimo rapporto delle Nazioni Unite, dal 2030 metà della popolazione mondiale potrebbe essere al di sotto della soglia minima rispetto al fabbisogno giornaliero di acqua. Una ragione in più per dare valore alla Giornata mondiale dell'acqua, istituita dall'Onu nel 1992, all'interno delle direttive dell'agenda 21, risultato della conferenza di Rio de Janeiro. Ma a Istanbul, dove si è concluso oggi il World Water Forum, i rappresentanti degli Stati non sono riusciti a raggiungere un accordo su un documento comune. In tanti chiedevano che si affermasse un "diritto all'acqua". Ma la dichiarazione finale è più generica: si afferma che l'accesso all'acqua è un bisogno fondamentale umano.

Il testo del documento enumera un certo numero di impegni per meglio gestire la richiesta di acqua e per favorire l'accesso ai servizi igienico-sanitari di cui 2,5 miliardi di persone sono ancora del tutto prive, o ancora lottare contro l'inquinamento dei corsi d'acqua, come delle falde del sottosuolo. "E' un documento importante - conclude il ministro turco dell'Ambiente Veysel Eroglu - che servirà da riferimento a livello governativo".

Il quinto Forum mondiale sull'acqua, meeting a cadenza triennale, ha portato nella città turca oltre 30 mila congressisti, insieme a una ventina di capi di Stato e circa 180 ministri dell'Ambiente. Fuori dalle stanze dove i potenti hanno discusso c'erano i non invitati: le associazioni ambientaliste e i gruppi d'interesse che si battono contro la 'mercificazione' dell'acqua e hanno trovato un modo per farsi ascoltare attraverso un forum alternativo e varie iniziative.

"La mancanza d'intervento sulle questioni che riguardano l'acqua non è un'opzione. L'acqua è una risorsa naturale limitata che può unire o dividere le comunità, è anche essenziale per garantire i diritti dei bambini", ha detto Clarissa Brocklehurst, referente Unicef per acqua, servizi sanitari e igiene.

Secondo il presidente dell'Unicef Italia Vincenzo Spadafora la buona notizia è che "l'87% della popolazione mondiale, circa 5,7 miliardi di persone, sta oggi utilizzando acqua potabile proveniente da fonti migliorate". Ma, "al mondo più di 125 milioni di bambini sotto i cinque anni vivono in famiglie senza accesso a acqua potabile". Un numero maggiore è "senza servizi igienici, un totale di 2,5 miliardi di persone nel mondo".

Secondo i dati dell'Onu, più di un miliardo e 200 milioni di persone non hanno accesso sufficiente alle fonti di acqua pulita e quasi altri due miliardi di esseri umani vivono senza servizi igienici. E la situazione è solo destinata a peggiorare se non si prenderanno provvedimenti rapidi, se è vero che, come stima l'Ocse, entro il 2030 saranno 3,9 miliardi le persone che vivranno in grave carenza di acqua e per la metà del secolo, quando si passerà dagli attuali sei miliardi e mezzo di abitanti a nove, questo problema riguarderà quasi la metà della popolazione mondiale, per lo più in Cina e nel sud dell'Asia. E mentre il tempo corre e il riscaldamento globale altera le sorgenti mondiali, c'è sempre più bisogno di agire in fretta, altrimenti il rischio è di veder sparire il futuro in un piccolo rivolo d'acqua tra le sabbie di un arido deserto.

Un ulteriore allarme è stato lanciato oggi dalla Coldiretti, nel corso del "G8 Farmers Meeting" organizzato proprio in occasione della Giornata dell'acqua: nonostante un aumento della domanda di cibo dell'1,5% l'anno, un quarto della produzione alimentare mondiale potrebbe andar perso entro il 2050, proprio per l'impatto combinato del cambiamento climatico, il degrado dei suoli, la scarsità di acqua e le specie infestanti.

"Di fronte alla crisi e ai cambiamenti climatici, se si vuole continuare a sfamare una popolazione che aumenta vertiginosamente, alle agricolture di tutto il mondo - sottolinea la Coldiretti - devono essere garantiti credito ed investimenti adeguati, anche per la raccolta e distribuzione dell'acqua, si devono applicare regole chiare per evitare che sul cibo si inneschino speculazioni vergognose e occorre garantire trasparenza e informazione ai consumatori sui prezzi e sulle caratteristiche degli alimenti".

(22 marzo 2009)

 

 

 

 

La denuncia dell'Adusbef-Federconsumatori: "Una crescita che non si ferma

Costeranno di più luce, gas, riscaldamento, benzina, trasporti e nettezza urbana"

Tariffe, sempre più cari acqua e rifiuti

I consumatori: "Una stangata da 1.360 euro"

<B>Tariffe, sempre più cari acqua e rifiuti<br>I consumatori: "Una stangata da 1.360 euro"</B>

ROMA - Dopo i rincari di luce, gas, carburanti, assicurazioni e treni arriva anche la stangata sui servizi pubblici locali. Secondo le stime di Adusbef-Federconsumatori la bolletta dell'acqua aumenterà di una cifra compresa tra i 15 e i 20 euro, passando dai 120 ai 140 euro annui, mentre per quella sui rifiuti i rincari saranno tra i 25 e i 30 euro. Una stangata che si allarga a tutte le principali voci di spesa e che le due associazioni quantificano in 1.360 euro all'anno.

Ai prossimi aumenti, che scatteranno dal 2008, si devono aggiungere i 44 euro in più che gli italiani stanno già pagando: secondo il consuntivo 2007 fatto dai consumatori, 20 euro in più per l'acqua (+8%) e 24 euro in più per la nettezza urbana (+11%).

Per l'acqua, precisano le associzioni dei consumatori, bisogna comunque ricordare che le tariffe sono molto diverse sul territorio nazionale: la bolletta più cara è attualmente a Livorno (1,48 euro per metro cubo). Tra le metropoli, Milano costa meno di Roma. E in ogni caso, nonostante gli aumenti, in Italia l'acqua costa meno di altri Paesi europei: 0,92 euro al metro cubo contro la media europea di 1,91 euro.

Sul fronte dei servizi pubblici locali pesa inoltre l'incognita della riforma proposta dal ministro degli Affari Regionali, Linda Lanzillotta, che prevede in sostanza che per l'assegnazione e la gestione dei servizi pubblici si passi ad una gara pubblica. La riforma dovrebbe essere inserita in finanziaria ma i Comuni sono già sul piede di guerra per quello che considerano un colpo di mano alle grandi municipalizzate.

Secondo una ricerca presentata da Nomisma all'inizio di dicembre, da gennaio le bollette di luce e gas aumenteranno di circa 56 euro l'anno in media per ogni famiglia.

(8 dicembre 2007)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL DOSSIER. Risparmiare è possibile: ecco come

Dieci semplici consigli per evitare di sperperare il bene più prezioso

Acqua, italiani tra i più spreconi al mondo

Ne consumiamo 250 litri al giorno

di LUIGI BIGNAMI

<B>Acqua, italiani tra i più spreconi al mondo<br>Ne consumiamo 250 litri al giorno</B>

ROMA - Italiani troppo igienisti o troppo spreconi? Ogni abitante del Belpaese, infatti, consuma poco meno di 250 litri di acqua al giorno, pari a due vasche da bagno. Uno dei consumi procapite più alti del pianeta, dietro solo a Giappone, Canada, Usa e Australia. Tanti sono i motivi dello "spreco": da un eccessivo uso dell'acqua per irrigare orti e giardini, fino ad un errato utilizzo per usi domestici e personali.

E tutto questo, forse, anche perché a differenza di luce e gas l'acqua incide ancora relativamente poco sul portafoglio del cittadino. E così, dalle agenzie internazionali ai produttori di impianti e dispositivi per risparmiare acqua, si cerca di persuadere il pubblico a cambiare abitudini prima che le contromisure diventino troppo costose.

Alcuni numeri possono aiutare a far capire quanto anche singolarmente si possa fare per risparmiare acqua. Riparare un rubinetto che perde dà modo di non sprecare dai 30 ai 100 litri di acqua al giorno. Per una doccia di 5 minuti occorrono circa 60 litri di acqua, ma per un bagno anche 120 litri. Un foro di un millimetro in una tubatura provoca, in un giorno, una perdita di oltre 2.300 litri di acqua potabile.

Oltre il 30% dei consumi idrici domestici poi, sono imputabili allo sciacquone del water: ogni volta che si spinge il pulsante se ne vanno almeno 10 litri d'acqua, mentre utilizzando sistemi a leva se ne può risparmiare anche il 50% (mediamente significa circa 26.000 litri all'anno).

Ma esiste anche un'altra strada che porta ad un risparmio notevole: differenziare l'offerta di acqua in base all'uso cui è destinata. Spiega Fulco Pratesi, Presidente del Wwf Italia: "Non c'è alcuna ragione di utilizzare acqua rigorosamente potabile e batteriologicamente pura per innaffiare orti, giardini, lavare auto e strade. Si può utilizzare acqua riciclata o acqua piovana". Se così si facesse si potrebbe risparmiare anche l'80% dell'acqua normalmente usata.

Se queste scelte possono essere realizzate anche parzialmente da ogni singola persona, a più alto livello occorrerebbe avere precise direttive per realizzare una rete parallela di distribuzione di acqua per gli usi non potabili, almeno nelle nuove costruzioni, come già avviene in alcuni Paesi del Nord Europa. Pur avendo un indiscutibile costo iniziale, a lungo termine simili impianti porterebbero benefici ambientali ben superiori.

Perché gli sprechi d'acqua non si fermano agli usi personali, ma si estendono anche al mondo agricolo e industriale. Ciascun cittadino di un Paese avanzato, come l'Italia, consuma mediamente 1.200.000 litri di acqua all'anno per usi agricoli, di cui almeno la metà è sprecata per tecniche inappropriate (uso a pioggia dove non è necessario o quantità d'acqua abbondanti anche per prodotti agricoli che non ne richiederebbero). Anche l'industria potrebbe avere un peso notevole sul risparmio dell'acqua se facesse propri gli esperimenti sul riciclo delle acque industriali.

Infine, occorrerebbe avere una rete di distribuzione valida: quella attuale fa perdere circa il 33% dell'acqua lungo il viaggio dagli acquedotti alle nostre case.

 

(24 aprile 2007)

 

 

 

 

 

L'UNITA'

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http://www.unita.it

2009-11-18

L'acqua ai privati, ok della Camera. Rivolta dei consumatori: "Referendum"

Il governo Berlusconi lo aveva blindato, mettendo la fiducia. E, nonostante i malumori della Lega, con 320 sì e 270 no il decreto Ronchi che contiene norme sulla "privatizzazione" dell'acqua ottiene il via libera di Montecitorio.

La Lega si rifa con un ordine del giorno, che, in sintesi recita: la gestione in house, in particolare per quanto riguarda l'acqua, può non essere "svantaggiosa per i cittadini" e il governo ne deve tenere conto nell'emanazione dei regolamenti attuativi della riforma dei servizi pubblici locali. "Nell'ambito dell'emanazione dei regolamenti e nella definizione delle soglie oltre le quali gli affidamenti di servizi pubblici locali assumono rilevanza ai fini dell'espressione del parere dell'Autorità garante della concorrenza", si legge nell'odg firmato dal capogruppo Roberto Cota e da altri esponenti del Carroccio, il governo si impegna a "tener conto di specifiche condizioni di efficienza che, soprattutto con riferimento al settore idrico, rendono la gestione in house non distorsiva della concorrenza e dunque comparativamente non svantaggiosa per i cittadini rispetto ad un'altra forma di gestione dei servizi pubblici locali".

Mentre alle associazioni dei consumatori che avevano osteggiato il decreto non resta che impugnare il referendum abrogativo. "Il Governo si è bevuto la fiducia dei cittadini. Blindando il decreto ha dimostrato di essere preoccupato più di assecondare gli interessi dei gruppi industriali privati che di regolamentare un settore vitale per la società con la costituzione di una Autorità", attacca il segretario generale di Cittadinanzattiva Teresa Petrangolini. "Il Governo dovrà preoccuparsi di giustificare all`opinione pubblica l`inevitabile aumento delle tariffe. La scusa dei bassi costi in Italia rispetto al resto dell`Europa non regge a fronte dei diversi volumi di investimenti, delle deroghe ai livelli di potabilità, e alla qualità complessiva del servizio".

E il Codancos avverte che con la privatizzazione dell'acqua è in arrivo una stangata per le famiglie. "Se consideriamo in 3 anni il tempo necessario perché il nuovo sistema vada a regime, alla fine di questo processo il rischio concreto è quello di un aumento medio del 30% delle tariffe dell`acqua", recitano le stime dell'associazione dei consumatori. "Se nel 2009 una famiglia media italiana spenderà 268 euro, considerando un consumo medio annuo di 200 metri cubi d`acqua, tra 3 anni quella stessa famiglia spenderà in media 348 euro all`anno, con un incremento di 80 euro, pari al +30%. Si determinerà cioè un aumento del costo del servizio a carico dell`utenza, generato dalla necessità per i privati di fornire una attività che sia per loro remunerativa. I consumatori insomma - conclude il Codacons - finiranno per pagare non solo il costo, ma anche il profitto del privato, che deve necessariamente conseguire un utile dalla fornitura idrica".

18 novembre 2009

il SOLE 24 ORE

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2009-11-18

Decreto Ronchi, il governo incassa la fiducia. Scontro sulla privatizzazione dell'acqua

di Nicoletta Cottone

18 novembre 2009

BLOG / Privatizzare l'acqua? Cosa succede in Sicilia (di Giuseppe Oddo)

Cosa c'è nel decreto Ronchi

SONDAGGIO / Privatizzazione delle società dell'acqua: siete d'accordo?

ANALISI / Servizi locali: le regole non possono attendere (da LaVoce.info)

Inchiesta/ Il sistema idrico fa acqua. Sprecati 2,6 mld di m³ all'anno (di Vittorio Carlini)

"Dai nostri archivi"

Privatizzazione dell'acqua Il governo pone la fiducia

Cosa c'è nel decreto Ronchi

LA PRIVATIZZAZIONE / L'acqua è di tutti ma il servizio no

Voto più lontano, ma la guerriglia nel Pdl si sposta sull'immigrazione

I sondaggi preoccupano il premier

Sì della Camera alla fiducia sul decreto Ronchi, il decreto salva-infrazioni, che prevede tra l'altro la liberalizzazione dei servizi pubblici locali, acqua compresa. I sì sono stati 320 e i no 270. Il voto finale sul provvedimento è previsto per domani. Una blindatura contestata dall'opposizione che lamenta di non aver potuto discutere della liberalizzazione dei servizi pubblici locali e, in particolare, della privatizzazione dell'acqua. Il provvedimento, che scade il 24 novembre, passato da 20 a 32 articoli nel corso dell'esame a Palazzo Madama, sarebbe così approvato senza modifiche, nel testo licenziato dal Senato.

Modifiche richieste dal Carroccio già in Finanziaria. La privatizzazione dell'acqua ha suscitato qualche perplessità anche nella Lega che ha comunque assicurato che darà la fiducia al Governo. "Non si può far saltare il governo. Non si muore per una legge, si muore se salta il governo", ha commentato il ministro e leader della Lega, Umberto Bossi. Probabilmente, però, il Carroccio chiederà una modifica del decreto Ronchi già in finanziaria.

Per Ronchi non c'è privatizzazione. "L'acqua è un bene pubblico" e il "decreto non ne prevede la privatizzazione", ha detto il ministro per le politiche comunitarie, Andrea Ronchi. "Nel provvedimento - ha aggiunto Ronchi a margine della presentazione della prima indagine di Coldiretti/Swg sul valore aggiunto del Made in Italy - viene rafforzata la concezione che l'acqua è un bene pubblico, indispensabile. Si vogliono combattere i monopoli, le distorsioni, le inefficienze con l'obiettivo di garantire ai cittadini una qualità migliore e prezzi minori". Secondo Ronchi il decreto "è una norma attesa da anni dalle piccole e medie imprese. In 480 mila chiedevano una norma chiara per combattere la contraffazione, l'illegalità, e dare forza ai prodotti italiani". Proprio le piccole e medie imprese - ha concluso Ronchi - "hanno consentito al nostro sistema economico di reggere in un momento di grandissima crisi".

Pd: si blinda un imbroglio. "Inserire la questione della privatizzazione dell'acqua dentro questo provvedimento é una decisione contro il Parlamento e anche contro una parte della

maggioranza. È una fiducia posta per blindare un imbroglio", è il commento di Ermete Realacci, deputato del Pd. "Qui non si tiene conto né della tutela di una risorsa fondamentale e preziosa come l'acqua, né di dove il pubblico funziona bene, né dell'interesse dei cittadini, né

di migliorare un servizio". Viceversa, conclude, "si favoriscono solo interessi privati limiti e ben identificati". Il senatore Roberto Della Seta, capogruppo del Pd alla commissione Ambiente del Senato attacca i leghisti. "È indecente il doppio gioco della Lega sull'acqua: con Calderoli firma il decreto che obbliga alla privatizzazione dei servizi idrici, in Parlamento fa finta di non essere d'accordo. Con l'aggravante della fiducia sul decreto".

Antitrust: positiva liberalizzazione. Per l'Antitrust, invece, il provvedimento sulla liberalizzaione dei servizi pubblici e essenziali contenuto nel decreto Ronchi è "un buon provvedimento perché dà luogo a una liberalizzazione da tanto tempo da noi auspicata. L'acqua rimane un bene pubblico ma il servizio finalmente viene liberalizzato", grazie al meccanismo delle gare. Per Antonio Catricalà il provvedimento "non significa che necessariamente si avrà una privatizzazione, ma si apre ai privati la possibilità di entrare nell'esercizio di questo servizio pubblico essenziale". La proprietà pubblica degli impianti, continua il numero uno dell'Antitrust, "rimane tale laddove è pubblica. Rimane da chiarire chi sarà l'autorità che dovrà verificare e stabilire gli standard di qualità minimi essenziali e che vigilerà sulle tariffe".

18 novembre 2009

 

 

 

 

 

18/11/09

Privatizzare l'acqua per darla a chi? Ecco cosa succede in Sicilia

Privatizzare la distribuzione dell'acqua? Leggete cosa accade in Sicilia, dove i servizi idrici sono stati dati in appalto ai privati. L'inchiesta che vi propongo, realizzata congiuntamente da me e Roberto Galullo, è stata pubblicata dal Sole-24 Ore il 30 luglio 2008, ma è di grande attualità. Ecco la prima puntata.

 

ACQUEDOTTI CON INFILTRAZIONI MAFIOSE

Distribuzione, depuratori e rete fognaria: così Cosa Nostra riorganizza un business ad alta redditività - Il pentito Francesco Campanella racconta il sistema di spartizione politico-mafiosa della gestione idrica che aveva ottenuto l’avallo del boss Bernardo Provenzano.

 

di Roberto Galullo e Giuseppe Oddo

 

"In Sicilia l’acqua non dà da bere: dà da mangiare e ingrassa. Gli oltre 400 milioni di metri cubi erogati da una rete che perde per strada un terzo di ciò che trasporta stuzzicano l’appetito di Cosa Nostra, che con gli appalti per l’emergenza idrica ha storicamente accumulato ricchezza e potere. Già nel settembre 2005 il pentito Francesco Campanella, ex presidente del consiglio comunale di Villabate e cassiere della locale famiglia mafiosa, aveva svelato gli scenari alla Procura di Palermo. Personaggio emergente della nuova mafia con significativi trascorsi nella politica, Campanella, che ha appena compiuto 36 anni, aveva parlato delle vicende del consorzio Metropoli Est costituito per lo sfruttamento del servizio idrico nei comuni del palermitano tra Villabate e Termini Imerese. Il collaboratore di giustizia ha spiegato ai magistrati che la gestione del business sarebbe dovuta avvenire "non con ditte locali ma cercando rapporti con importanti imprese nazionali o internazionali". Il progetto avrebbe dovuto segnare per Cosa Nostra un cambio radicale di strategia: non più l’imposizione del pizzo, ma l’acquisizione di "una quota di utile annua da remunerarci attraverso il sistema delle consulenze". Consulenze che avrebbero messo la mafia su un "percorso legale e per l’azienda fiscalmente detraibile".

L’operazione era stata concertata con Nicola Mandalà, l’uomo che gestiva la latitanza di Bernardo Provenzano. Mandalà ne aveva parlato all’allora capo di Cosa Nostra ed era tornato "entusiasta dall’incontro con lo "Zio" che gli aveva fatto i complimenti - racconta Campanella - poiché la sua strategia operativa era insabbiare Cosa Nostra e passare all’attività di impresa, direttamente, collegandosi in modo organico con la politica".

Questo progetto è stato smantellato dalle indagini, ma - a giudizio dei magistrati - il modello mafioso di "infiltrazione" nel settore idrico è rimasto intatto. Anche perché, se Provenzano e Campanella sono ormai fuorigioco, i colletti bianchi e i politici che hanno ordito la trama sono ancora al loro posto.

Nel frattempo, recependo sia pure in ritardo la legge Galli, la Regione Sicilia ha costituito nove Ambiti territoriali ottimali (Ato) per la gestione integrata della distribuzione dell’acqua potabile, dei depuratori e delle reti fognarie. La Sicilia è tra le poche regioni che ha affidato a terzi il servizio idrico integrato. Il criterio seguito non è stato quello dei bacini idrografici, indicato nella legge, ma quello politico-clientelare-amministrativo: nove province, nove Ato. Sei di questi hanno seguito la strada della privatizzazione. Uno (Catania) ha costituito una società a capitale misto. Solo a Ragusa l’acqua è rimasta in mani pubbliche, mentre a Trapani è tutto da rifare. Qui una vecchia conoscenza della giustizia, l’imprenditore Pietro Di Vincenzo - ex presidente degli industriali di Caltanissetta, condannato in primo grado per concorso in associazione mafiosa dalla Procura di Roma, ma assolto in appello - era riuscito ad aggiudicarsi la gara. L’Ato l’ha però annullata per turbativa d’asta e a nulla sono valsi i ricorsi dell’impresa Di Vincenzo al Tar siciliano e al Consiglio di giustizia amministrativa.

Non solo: nel giugno 2008 la Procura nissena ha proceduto contro Di Vincenzo con una misura di prevenzione patrimoniale, chiedendone il sequestro dei beni, stimati in circa 120 milioni. Diversi pentiti lo avrebbero indicato come personaggio centrale del connubio tra affari e politica.

Le procedure di assegnazione presentano in genere gravi anomalie. La più vistosa è che in quasi tutti gli Ato - dopo tentativi talvolta andati a vuoto - alle gare s’è presentato un unico raggruppamento di imprese (pubbliche e private) che è poi risultato aggiudicatario della gestione del servizio. Il caso eclatante è quello di Palermo, dove l’Amap, la municipalizzata del capoluogo, ha ottenuto un regime di salvaguardia in base al quale potrà continuare a operare parallelamente all’Ato fino al 2021, ossia fino alla scadenza del contratto col Comune.

Gli investimenti trentennali (2003-2032) ammontano a 5,8 miliardi, una cifra che fa del settore idrico la torta più appetibile in Sicilia. Da anni non si registrava nell’Isola un flusso così consistente di appalti. La parte del leone la fa l’Ato di Palermo, con oltre 1,261 miliardi, seguito dall’Ato di Catania, con 1,192 miliardi (si veda la tabella a fianco). E una parte rilevante degli investimenti - oltre un miliardo a fondo perduto - arriva dall’Accordo di programma quadro 2000-2006 della Ue. Le società aggiudicatarie del servizio potranno accedere ai finanziamenti pubblici europei solo se investiranno il 30% di risorse proprie.

"Di fatto - dichiara Ernesto Salàfia, dirigente dell’Amap di Palermo, tra gli animatori del movimento Liberacqua - le società di gestione stanno rischiando poco, trovandosi a utilizzare denaro pubblico". E questa è solo una parte della torta. Dice Anna Parrino, dirigente dell’Ato di Trapani: "Il vero affare sono i ricavi che giungeranno dalle tariffe. A Trapani il futuro gestore incasserà non meno di 28-30 milioni all’anno, che in 30 anni fanno circa 900 milioni di fatturato".

Il "sistema Campanella" è stato affinato. Basta guardare le compagini azionarie dei vari gestori del servizio. Il modello tipo vede compartecipi imprese di costruzione, cooperative rosse, utilities del Nord, società di ingegneria e installazioni e studi professionali locali. All’Ato di Caltanissetta partecipa un colosso straniero: la spagnola Aqualia. È ancora una volta Salàfia a spiegare la logica spartitoria: "Io progetto il servizio, io me lo realizzo, io me lo collaudo, io me lo gestisco e l’Europa mette i soldi". Insomma, tutto in famiglia. A una condizione: che solo il 30% dei lavori sia messo all’asta e il 70% sia gestito dalla società aggiudicataria. Un’anomalia, una violazione delle regole sulla concorrenza, che Antitrust e Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici non hanno mancato di rimarcare. Ad esse hanno fatto ricorso 13 Comuni della provincia di Palermo che hanno denunciato i rischi di irregolarità insiti in questo singolare "modello" di privatizzazione.

"Girgenti Acque Spa - denuncia Giovanni Panepinto, combattivo sindaco di Bivona, in provincia di Agrigento - non ha fatto alcun bando per la manutenzione. Lavorano sempre i soli noti". Decine di imprese mafiose o affidate a prestanomi sono pronte a dividersi le risorse, confermano fonti della Dia (Direzione investigativa antimafia), che ha in corso diverse indagini.

Ancora più incisivo il sindaco di Caltavuturo, Domenico Giannòpolo, personaggio di spicco del Partito democratico in Sicilia, che ha guidato l’opposizione dei Comuni palermitani. "A giudicare dal modo in cui si sono svolte le gare - afferma - c’è il sospetto che vi siano state una spartizione e un’intermediazione affaristico-mafiose".

Questo sistema per il momento ha avuto un effetto immediato sulle tasche dei cittadini: l’aumento delle tariffe. "Si rischia un’esplosione sociale", dichiara Antonella Leto, che segue l’intera vicenda per la Cgil siciliana. Con lei concordano altri sindacalisti, molti sindaci, politici di ogni schieramento e il Forum dell’acqua, una rete che organizza la mobilitazione popolare contro i programmi di privatizzazione del servizio idrico.

Decine di sindaci non hanno consegnato le reti ai nuovi gestori e migliaia di cittadini, talvolta spalleggiati dagli stessi Comuni, fanno lo "sciopero" delle bollette. È successo per esempio a Cefalù, i cui abitanti hanno visto crescere in modo esponenziale il prezzo dell’acqua dopo l’entrata in funzione del potabilizzatore delle sorgenti di Presidiana realizzato da una società privata.

L’opposizione politica alla privatizzazione è trasversale. Fabrizio Ardita, consigliere indipendente della Provincia di Siracusa, s’è schierato contro il suo ex partito, l’Udc. "L’affidamento - afferma - è stata una burla. Ha vinto l’unico soggetto che ha partecipato. Questo ambito è sempre stato gestito in modo anomalo. Sogeas, che già gestiva il servizio idrico, era presieduta fino a poco tempo fa da Franca Gianni, sorella di Pippo Gianni, ex deputato nazionale e regionale, attuale assessore regionale all’Industria. Oggi alla presidenza di Sogeas c’è Franco Risicato, ex segretario cittadino dell’Udc. Le anomalie nell’affidamento e altre stranezze amministrative, nonché il tentativo di costituire una società ad hoc per lucrare sulla privatizzazione, sono state denunciate all’autorità giudiziaria".

A questa forma di resistenza civica, l’Arra (Agenzia regionale per i rifiuti e le acque) risponde con una sfida. "Le resistenze ci sono - ammette Marcello Lorìa, direttore del settore regolazione delle acque - ma ci sono contratti firmati e delibere delle conferenze dei sindaci. Se ci saranno danni per i gestori, se ne faranno carico coloro i quali ostacolano investimenti e sviluppo. Non dimentichiamo che chi ha vinto le gare aveva la possibilità di operare subito. Le cose stanno andando a rilento e qualcuno pagherà per questo".

Per ora, però, a pagare i costi del disservizio idrico sono soltanto i siciliani. I cui rubinetti continuano a restare a secco in buona parte dell’Isola per la maggior parte della giornata".

Fine della prima puntata

 

 

 

 

 

Cosa c'è nel decreto Ronchi

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18 novembre 2009

"Dai nostri archivi"

Decreto Ronchi, il governo incassa la fiducia. Scontro sulla privatizzazione dell'acqua

LA PRIVATIZZAZIONE / L'acqua è di tutti ma il servizio no

Per l'acqua il confine tra gestione e proprietà

Servizi, paletti alla deroga

La panoramica sugli ultimi provvedimenti fiscali

 

La riforma dei servizi pubblici locali, compresa la liberalizzazione dell'acqua, domina il decreto Ronchi. Ma nel provvedimento, passato da 20 a 32 articoli, nel corso dell'esame al Senato e non modificato dalla Camera, trovano spazio una serie di novità.

Le novità per i servizi pubblici locali. Gare a evidenza pubblica diventano la regola per l'affidamento dei servizi da parte delle amministrazioni (ad eccezione della distribuzione dell'energia elettrica, del trasporto ferroviario regionale e delle farmacie comunali e compresa l'acqua che, però, rimane bene pubblico). Le gestioni frutto di un affidamento in house cessano alla data del 31 dicembre 2010. Le società partecipate possono mantenere contratti stipulati senza gara formale fino alla scadenza nel caso in cui le amministrazioni cedano loro almeno il 40% del capitale. Diverso il discorso per quanto riguarda le società quotate che hanno tre anni in più per adeguarsi a patto che abbiano almeno il 40% di quota di partecipazione pubblica al 30 giugno 2013, quota che scende al 30% al 2015.

Regolamentato l'uso delle etichette del made in Italy. Una delle novità introdotte dal decreto Ronchi riguarda la regolamentazione dell'uso del made in Italy. Le etichette potranno avere l'indicazione "100% made in Italy" o "100% Italia" o "tutto italiano" per indicare prodotti non solo creati, ma anche assemblati nel nostro Paese. Per l'uso indebito di questo tipo di indicazioni o di segni o figure ingannevoli su questo è prevista una sanzione penale.

Passaporto per ogni persona. Passaporto individuale tutti i cittadini che abbiano compiuto il decimo anno di età. Attenzione però, il passaporto individuale può essere rilasciato anche ai minori di dieci anni purché utilizzato esclusivamente nei casi in cui il minore sia accompagnato da uno dei genitori o da chi ne fa le veci. Diversamente, deve essere riportato il nome della persona o dell'ente, cui il minore viene affidato, sullo stesso passaporto o in una dichiarazione di accompagno, sottoscritta da chi esercita sul minore la potestà e vistata dagli organi competenti al rilascio del passaporto. L'iscrizione dei minori sul passaporto di uno dei genitori può essere richiesta fino all'età di sedici anni. Per i ragazzi sotto i 14 anni l'uso del passaporto è subordinato alla condizione che viaggino accompagnati o con l'indicazione dell'affidamento. Contestualmente, in conformità del principio "una persona – un passaporto" viene eliminata la possibilità dell'iscrizione del minore sul passaporto del genitore.

Arriva un elenco per rifiutare spot telefonici. Viene prorogata di sei mesi la legge che consente agli operatori telefonici di usare per fini promozionali banche dati costituite sulla base degli elenchi telefonici. Arriva anche un elenco gestito dal garante della privacy al quale ci si potrà iscrivere per non ricevere più gli spot telefonici esercitando il proprio diritto di opposizione.

Lampadine ed elettrodomestici in commercio solo se "verdi". A decorrere rispettivamente dal 1° gennaio 2010 e dal 1° gennaio 2011 elettrodomestici e lampadine potranno essere messi in commercio solo se rispettano i requisiti minimi di eco-compatibilità previsti dall'Unione europea.

Federalismo fiscale: slitta la data del primo decreto attuativo. SlittaFra le altre novità slitta al 30 giugno 2010 la data entro la quale il governo deve varare il primo decreto attuativo del federalismo fiscale. Viene anche stabilito che entro 30 giorni dall'entrata in vigore di questo provvedimento, gli enti trasmettano alla commissione paritetica per l'attuazione del federalismo i dati sul patto di stabilità.

Arrivano norme anti-mafia per l'Expo 2015. Il prefetto di Milano gestirà il coordinamento e l'unità di indirizzo di tutte le attività di prevenzione delle infiltrazioni della criminalità organizzata nell'affidamento degli appalti per la realizzazione delle opere per l'Expo 2015.

Le novità per infrastrutture e farmacie. Previsti anche fondi per i programmi pluriennali di ammodernamento infrastrutturale della Guardia di finanza. Le società miste Anas-Regione create per la realizzazione di autostrade dovranno limitarsi a infrastrutture di solo interesse regionale e interamente ricadenti nel territorio della regione. Sul fronte delle farmacie viene sanato il cumulo di attività di distribuzione all'ingrosso di medicinali e gestione di farmacie comunali in capo a società che, appunto, distribuiscono medicinali all'ingrosso. E, ancora, in attesa completamento processo privatizzazione della Tirrenia le attuali società del gruppo saranno operative fino al settembre 2010.

18 novembre 2009

 

 

 

Il sistema idrico fa acqua

Sprecati 2,6 mld di m³ all'anno

di Vittorio Carlini

20 maggio 2009

I bacini idrografici italiani

Gli acquedotti italiani fanno letteralmente acqua. Il tasso medio di H2O perduta e rubata è del 30% sul totale. Bazzano (Federutility): "Bisogna alzare le tariffe per permettere gli investimenti". Attanasio (Kpmg): "Consolidare i gestori e norme più certe nel settore". Lembo (Contratto mondiale per l'acqua): "L'acqua non è una merce. Puntare sulla fiscalità dello Stato".

Goccia dopo goccia. Anzi, sarebbe meglio dire: "ondata dopo ondata". E sì, perché quello che sparisce ogni anno dagli acquedotti italiani è un vero e proprio fiume d' acqua. Circa 2,61 miliardi i metri cubi di H2O che, annualmente, il sistema idrico italiano lascia per strada. Meglio...per i propri tubi. Il tutto a causa di perdite fisiche o per mano dei soliti ignoti che rubano acqua.

Una massa liquida notevole che si desume dai numeri del Co.Vi.Ri, il Comitato per la Vigilanza sull'uso delle Risorse idriche. Secondo il comitato istituito presso il ministero dell'Ambiente, contattato dal Sole24Ore.com, la quantità di acqua immessa nel sistema idrico nel 2008, riferita a 36,5 milioni di abitanti, è di 5,308 miliardi di m3. Questo dato parametrato sugli attuali 60 milioni di abitanti, così come indicato dallo stesso Co.Vi.Ri, implica una valore di 8,72 miliardi di m3 del prezioso liquido immessi nei tubi. Tenuto conto che la percentuale media di perdite del sistema idrico italiano è del 30% ecco, allora, che si giunge al valore di 2,61 miliardi di m3.

Milioni di euro buttati...

Una cifra assolutamente attendibile, come conferma lo stesso Co.Vi.Ri., che ovviamente significa anche un'immediata, e diretta, perdita economica. Le società di gestione degli acquedotti, infatti, tirano fuori dei soldi per fornire l'energia elettrica e i servizi al fine di immettere l'acqua nelle condutture. Un'attività che, secondo Federutility, equivale al 10% dei costi industriali sostenuti per ogni metro cubo d'acqua. Costi, quest'ultimi, che in media si attestano in Italia sui 0,87 euro.

Tirando le somme, i 2,61 miliardi di m3 di acqua perduta significano circa 226 milioni di euro buttati via ogni anno. Soldi sprecati. Il che, in un momento di dura crisi come l'attuale, non è un bel vedere. E non basta.

...e miliardi sotratti al sistema Italia

Al di là degli sprechi c'è un altro dato che fa riflettere. La media degli investimenti europea per garantire un sistema efficiente è di 274 euro al metro cubo di H2O. Ebbene, in Italia, questo valore si aggira, secondo Kpmg, sui 107 euro. "Ciò significa - spiega Gianpaolo Attanasio, consulente di Kpmg e esperto di utility- 167 euro di mancati investimenti per utenza". Che a livello di sistema Paese, vuol dire un "mancato ricavo di oltre 3 miliardi all'anno, per lavori sulle reti non realizzati". Anche qui, a fronte della dura recessione che colpisce il mondo intero e l'Italia, l'occasione per porre in essere politiche economiche anti-crisi ci sarebbe. Ma non viene raccolta.

 

Tra le maggiori perdite...

L'Italia, peraltro, vanta il non invidiabile primato di una media percentuale delle perdite ben superiore a quella degli altri paesi occidentali. Nella Penisola, in media, il 30% delle acque immesse nelle condutture va perso o viene rubato. Un valore ben superiore a quello degli altri stati "avanzati", dove la percentuale è compresa tra un minimo di 15 e un massimo del 20 per cento.

Precisazione dell'Acquedotto Pugliese: "Le perdite in rete sono oggi al 35% e non al 55%. Ed anche ove sommassimo alle perdite in rete quelle cosiddette amministrative, le perdite dell'Acquedotto Pugliese sarebbero al 47%".

....e le tariffe

Roberto Bazzano, presidente di FederutilityLa domanda, a questo punto, appare scontata: perché le società di gestione degli acquedotti italiani non investono per ridurre le perdite? "Sul piatto - risponde un po' seccato Roberto Bazzano, presidente di Federutility - ci sono ben 10 miliardi di euro per interventi sulla rete. E cinque di questi sono cantierabili nei prossimi 5 anni. I tempi, insomma, sono dilatati e non per colpa delle aziende". Cosa intende dire? "Ci sono diverse cause che rallentano l'attività - risponde il manager - I troppi vincoli amministrativi, politici e burocratici. Poi, una regolamentazione arretrata e contradditoria. Ma, soprattutto, pesa un aspetto". Quale? "Il problema è che la normativa attuale permette una remunerazione lorda del 7% del capitale. Un tetto che dev'essere coordinato con il limite dell'aumento massimo del 5% annuo della tariffa. È chiaro che, a fronte della percentuale data di remunerazione del capitale, per incrementare gli investimenti bisognerebbe avere la possibilità aumentare oltre il 5% la tariffa. Altrimenti si va in perdita: è giusto che in un settore come l'acqua non ci siano extra-profitti. Ma almeno il tasso d'incremento tariffario deve essere alzato". Di più: "Voglio ricordare - afferma Bazzano - che attualmente la tariffa media in Italia è di 1,1 euro al metro cubo. Una tra le più basse d'Europa". (Guarda la tabella sulle tariffe in Europa)

Come dire, insomma, che l'aumento non deve fare gridare allo scandalo. Già, lo scandalo. Tuttavia non si capisce perché, se una volta tanto siamo tra i più virtuosi in Europa, dobbiamo aumentare la tariffa? "Perché la situazione è di stallo. Ci allontaniamo dagli obiettivi europei e non riusciamo a fare gli investimenti necessari e recuperare la giusta efficienza. Le società non possono programmare investimenti in perdite". Però, proprio in questo periodo di crisi, è difficile pensare ad un aumento della bolletta dell'acqua. Molta gente non ha i soldi per sopravvivere. Non esistono alternative? "Si potrebbe pensare- dice Bazzano - a sistemi di agevolazioni nelle bollette per le aree più depresse del Paese. O, più in generale, ad agire in termini di fiscalità. Cioè: lo Stato intervenga in favore del settore. Lo ha fatto per le banche, non vedo perché non replicare in un comparto industriale così importante. Peraltro, quest'azione può costituire una strategia in ottica anti-crisi". Insomma, il messaggio di Federutility è chiaro: bisogna seguire criteri di economicità nella gestione, altrimenti non si va da nessuna parte. Passo fondamentale è l'aumento della bolletta più del 5% all'anno, per poter avviare gli investimenti.

Profitti sì, profitti no

Molti economisti però, soprattutto dopo il terribile crack dei mercati finanziari, contestano che le risorse finanziarie debbano trovarsi sfruttando un approccio economico-privatistico. Viene capovolto l'approccio al tema. "Il punto di partenza è che l'acqua non è una merce - dice Rosario Lembo, segretario comitato italiano per il Contratto mondiale dell'acqua - Si tratta, invece, di un diritto primario, indisponibile che deve restare nell'ambito della gestione pubblica". La tesi è radicale. "Lo Stato - dice l'esperto - deve sempre garantire a ogni cittadino almeno 50 litri di acqua al giorno, cioè la quantità considerata minima dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms, ndr)". Tuttavia i dubbi non sono pochi. I soldi, infatti, non ci sono: come pensare alla fiscalità dello Stato oggi con il debito italiano alle stelle? Una bella tentazione intellettuale, difficile da concretizzare. "Sono consapevole dei vincoli di bilancio e della dura crisi in cui siamo immersi- ribatte Lembo - . In primis, però, i costi per garantire i 50 litri d'acqua potrebbero essere coperti grazie ad un sistema di tariffe che aumentano progressivamente con i consumi, penalizzando gli sprechi" Vale a dire? "Tra i 50 e 120 litri di uso quotidiano, che l'Oms considera una quantità "sostenibile", la fee deve coprire solo i costi operativi. Sopra questa soglia, invece, la tariffa deve aumentare progressivamente al consumo: gli extra ricavi dovrebbero servire per garantire la quantità minima di 50 litri quotidiani". Difficile pensare siano sufficienti..." Pensiamo, allora, anche a una gestione più efficiente, con minori spese superflue, dello stesso sistema idrico per risparmiare soldi. Di più: dovrebbero essere razionalizzati gli investimenti nelle infrastrutture. Evitare finanziamenti a opere non essenziali quali, per esempio, il Ponte sullo Stretto di Messina. I fondi necessari, se si vuole, si trovano. Non è una tentazione intellettuale, è pragmatismo. Certo, bisogna cambiare radicalmente, rispetto alla prassi dominante, l'approccio al tema-acqua". Non la pensa così Bazzano: "L'impostazione non convince. La storia ha mostrato come la sola gestione dei comuni è fallimentare, non praticabile: sono stati letteralmente buttati via molti denari". Le posizioni, insomma, sono distanti. Due scenari differenti dove, peraltro, si muovono e si confondono vari temi di discussione.

La proprietà della rete idrica

Uno di questi è la proprietà dei tubi, degli invasi e delle condotte. "Allo stato attuale - spiega Bazzano - è preferibile che le reti idriche rimangano in mano pubblica". Prima, infatti, "ci dev'essere un consolidamento dei gestori di rete e un ampliamento degli Ambiti territoriali ottimali (Ato)", cioè le aree, individuate dalle regioni, all'interno delle quali un soggetto unitario gestisce le acque. "Hanno una dimensione pressoché provinciale - fa da eco Attanasio- che non corrisponde ai bacini idrici naturali: devono, giocoforza, ingrandirsi. Inoltre è necessaria l'istituzione di un'Authority che funzioni sulla falsariga di quella dell'energia". "Solo in quel momento - riprende Bazzano-, con una normativa coerente, un controllore efficiente e una minore quantità di gestori sarà indifferente parlare di proprietà pubblica o privata. Per adesso è troppo presto". Non così tranchant, invece, la posizione sui gestori di rete. "L'aspetto fondamentale - dice il manager - è che all'interno di un Ato ci sia solo un gestore. Al di là di questo, credo che sui servizi la presenza dei privati possa più velocemente proseguire". Di parere opposto Lembo: "Separare i servizi dalla rete non ha senso: l'acqua è, e deve rimanere, un bene inalienabile. Chi gestisce, di fatto, possiede il network. Lo ripeto, l'H2O deve restare nella mano pubblica".

vittorio.carlini@ilsole24ore.com

20 maggio 2009

 

 

 

 

http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001395.html

SERVIZI LOCALI: LE REGOLE NON POSSONO ATTENDERE

di Carlo Scarpa 18.11.2009

Nessuna privatizzazione dell'acqua o di altro, ma certo una maggiore spinta a che le amministrazioni locali mostrino se le loro imprese sono veramente efficienti. Nulla di male in questo, ma manca un pezzo. Manca una regolazione seria dei settori, che oggi non hanno regole chiare che possano veramente garantire una partnership pubblico-privato virtuosa. Occorre completare il quadro delle regole. E farlo rapidamente. Perché altrimenti i rischi sono tanti.

Da www.ecoblog.it

Pare ormai definitivo. Passerà la riforma dei servizi pubblici locali proposta del governo, con la benedizione sostanziale di diversi esponenti dell’opposizione. In realtà, riguarda solo tre servizi, ovvero acqua e rifiuti e trasporti locali, ma per questi avviene effettivamente qualcosa di significativo. L’aspetto fondamentale è che si cerca di quasi-vietare gli affidamenti diretti di un comune a una impresa interamente pubblica. Se si vogliono fare affidamenti diretti, ci deve essere con almeno il 40 per cento un socio privato industriale (non solo finanziario) con compiti di gestione. Se no, si va in gara.

CONTRO LE INEFFICIENZE

La ratio è evidente. Accanto a tante imprese pubbliche efficienti, ce ne sono tante che gettano via denaro pubblico. Si noti che i privati, motivati dai profitti, a parità di efficienza verosimilmente chiederanno prezzi più alti delle imprese pubbliche. E allora le imprese pubbliche efficienti resteranno a galla, anche perché se sono veramente tali vinceranno le gare. Quelle che sono così inefficienti da perdere le gare perfino contro i privati, che dai prezzi devono ricavare margini di profitto, personalmente non le rimpiangerò.

Per dare un’idea, nel 2005 risultavano in perdita circa un terzo delle imprese locali del settore igiene urbana e il 40 per cento nel settore idrico. E il trasporto pubblico locale va anche peggio. (1) Nella più ottimistica interpretazione, siamo di fronte a deficit pubblici che le amministrazioni locali nascondono nelle loro imprese per non farli risultare dai bilanci comunali. Ma, temo, in molti casi c’è ben di peggio. A queste situazioni occorre dare una risposta, anche per lasciare spazio a imprese vere; magari pubbliche, perché no, ma vere.

Una delle norme introdotte dice che se si vuole evitare la gara, allora abbiamo bisogno di almeno il 40 per cento di capitale privato. È forse il punto più debole della norma, ma non è insensato. Diversi studi sull’Italia (ma non solo) ci dicono che le imprese a capitale misto sono più efficienti di quelle totalmente pubbliche. Ma è evidente che l’arrivo "forzato" del privato non è in sé una panacea; tante volte le imprese miste sono migliori di quelle pubbliche proprio perché sono state vendute al privato le imprese più appetibili (quelle scadenti, nessuno se le compra). Oltre tutto, costringere a vendere non promette bene quanto a gettito pubblico e si può dubitare che molte amministrazioni vorranno andare su questa strada, se non per eludere la norma con qualche socio privato di comodo. Ma, come si diceva, se non ci riescono non è la fine del mondo: è solo la messa a gara del servizio.

NON C’È UNA PRIVATIZZAZIONE DEL SERVIZIO IDRICO…

È triste che qualcuno chiami tutto questo "la privatizzazione dell’acqua". Ècattiva informazione, ai limiti della mala fede. Quello che si vuole è la messa a gara dei servizi. Se uno poi vuole mantenere la proprietà pubblica delle imprese lo può fare, ma queste devono dimostrare sul campo di valere almeno quanto quelle private. Si noti bene: le imprese pubbliche "brave" non avranno problemi, e in Italia per fortuna ne abbiamo diverse.

Il timore di qualcuno è che la presenza dei privati aumenti i prezzi, in particolare dell’acqua. No, a questa obiezione la risposta è semplice: se non si vogliono i privati allora si faccia una gara, e se l’impresa interamente pubblica farà veramente prezzi più bassi, allora il privato non passerà. Avremo una gestione privata solo se sarà il privato ad avere prezzi più bassi, ma allora il problema non esiste.

Resta poi un'altra questione, che prescinde dalla proprietà pubblica o privata. Ovvero, il fatto che il settore idrico ha bisogno di investimenti immensi (decine di miliardi di euro già oggi previsti) e che i costi dovranno essere coperti da prezzi più alti. Ma questo resterà vero anche se il gestore è pubblico, ed è cosa nota da almeno quindici anni: la legge Galli è del 1994, quando al governo c’era Carlo Azeglio Ciampi; il provvedimento per l’adeguamento dei prezzi data al 1996, firmato da Antonio Di Pietro nel primo governo Prodi.

UN GROSSO PROBLEMA APERTO

Se l’impianto del provvedimento è sostanzialmente accettabile, lascia però aperti un paio di problemi. Il primo, risolvibile con un regolamento apposito, è come saranno fatte le gare. Il secondo è invece assai più serio, ovvero chi regola questi settori. Si spinge per una maggiore presenza privata in alcuni servizi che però non hanno una regolazione degna di questo nome.

Ad esempio, nell’acqua già oggi questo è un problema che sta per esplodere. Da un lato, il regolatore non può essere (come è oggi) un organo politico locale, troppo sottoposto a pressioni elettorali spicciole: inutile obbligare alla privatizzazione se non si creano le condizioni per tutelare gli investitori. Dall’altro, i livelli di qualità rischiano di essere sacrificati se i comuni non hanno organi capaci di svolgere il monitoraggio. Problema, questo, ancora più acuto per il settore dei rifiuti.

Il provvedimento non è sbagliato, ma manca un pezzo. Non era certo un decreto ministeriale che poteva farlo, ma ora l’istituzione di organi di regolazione per questi servizi non può più attendere. Pena, il caos.

 

  1. Dati e analisi più complete saranno contenute nel volume "Comuni SpA. Il capitalismo municipale in Italia", di Scarpa, Bianchi, Bortolotti e Pellizzola, in corso di pubblicazione per Il Mulino (fine 2009).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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EL PAIS

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LE MONDE

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THE NEW YORK TIMES

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THE WALL STREET JOURNAL

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